Intervista a... Carl Brave. Dentro e fuori dal palco.

Luglio 11, 2024

Da Trastevere a Kioto, tra vita on the road e tantissimi featuring, i testi di Carl Brave sono intrisi di riferimenti al gin. Ma cosa contiene il suo bicchiere durante i live? Glielo abbiamo chiesto.

“Allungo il gin col lime e anche uno sputo di Sprite” canta in Spigoli con Mara Sattei e thasup. Il ritornello di Kill Bill recita “la tua beauty routine è uno shot di gin”, mentre in Parco Gondar si sente “”m’è scesa una lacrima di gin”. I riferimenti al distillato nei suoi testi sono tanti, così come quelli al vino. Stiamo parlando di Carlo Luigi Coraggio, in arte Carl Brave.

Producer e cantante romano che, dai vicoli di Trastevere, ha conquistato l’intero paese con il suo stile inconfondibile. Tantissimi i featuring con gli altri protagonisti della scena musicale italiana, da Fabri Fibra a Guè Pequeno passando per Coez, Frah Quintale, Bresh, Neomi, Elodie, solo per citarne alcuni. Lo abbiamo intervistato sulla sua esperienza sul campo dato che, come gli ha insegnato il suo maestro, “mixare la musica è un po’ come miscelare”.

Carl Brave

Ciao Carlo. Cosa ti piace bere sul palco per tenere alta la carica?
Il vino bianco mi piace una cifra. Amo lo Chardonnay (come si evince dal brano “Chapeau”, ndr), oppure vini locali e cosiddetti “naturali”. Ne bevo tre o quattro bicchieri, a seconda dell’energia della serata. I primi concerti li carburavo con la vodka, finendo quasi una bottiglia ad ogni data, ma ho capito presto che non potevo continuare così. Sono passato allo spritz, poi allo Champagne, che però è nemico dei cantanti a causa delle bollicine.


Hai qualche aneddoto memorabile legato alle tue prime esperienze live?
Beh, i primi anni erano sempre epici. Salivamo sul palco tutti ubriachi per l’ansia, era un’atmosfera più di caciara e meno professionale rispetto a oggi. Come dicevo, finivo mediamente una bottiglia di vodka Belvedere e arrivavo all’ultima canzone, Pellaria, biascicando. Il pubblico si divertiva tantissimo ed era l’adrenalina a tenermi su. Adesso bevo molto meno, per dare il massimo fino alla fine. Devo anche dire che quando sono in tour mi concedo di più, mentre nei momenti di pausa e di studio cerco di essere più disciplinato. Ho due lati: uno sano e sportivo, l’altro più rilassato e godereccio.


E invece fuori dal palco sei più tipo da birrette o da cocktail?
Di birra ne bevo poca, prima stavo in fissa con Peroni e Tennent’s Super ma adesso preferisco i superalcolici, sia lisci che in miscelazione. Mi piace sperimentare e vado a periodi, ma alla fine torno sempre ai grandi classici; niente di troppo elaborato, cocktail che faccio anche in casa con gli amici.


E qual è il tuo cocktail preferito?
Adoro la vodka sour, la vodka tonic e il gin tonic. A Trastevere c’è un posto che ha gin particolari, tra cui alcuni giapponesi che mi piacciono molto. Il cocktail migliore che abbia mai assaggiato me l’hanno fatto proprio in Giappone, a Kyoto. Non so nemmeno cosa c’era dentro perché non parlavano inglese ma era fantastico, con questa specie di uva fragola enorme, esagerata. Là ci sono dei cocktail bar incredibili, sono fortissimi. È un mondo alieno. Anche la loro cucina mi fa impazzire. Penso che il pasto più buono l’abbia fatto proprio in Giappone, in un omakase dove torno ogni volta. Nei posti tradizionali, poi, assaggi veramente cose pazze.


Hai progetti futuri?
Molti. In questo momento sto lavorando al nuovo disco che sarà un po’ un ritorno alle mie origini musicali. Non posso svelare troppo, ma sarà qualcosa di diverso e speciale.

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